

Quante e quante volte i nostri occhi si sono posati su
un Crocifisso o una semplice croce, in questo mondo distratto,
superattivo, superficiale?
Quante volte entrando in una chiesa o passando davanti a delle edicole
religiose agli angoli delle strade, sui sentieri di campagna o di
montagna, o mettendola al collo sia per devozione, sia per moda, i nostri
occhi hanno visto la Croce; quante volte sin da bambini ci siamo segnati
con il segno della Croce, recitando una preghiera o guardando il
Crocifisso appeso alla parete della nostra stanza da letto, iniziando e
terminando così la nostra giornata.
La Croce simbolo del cristianesimo, presente nella nostra vita sin dalla
nascita, nei segni del rito del Battesimo, nell’assoluzione nel
Sacramento della Penitenza, nelle benedizioni ricevute e date in ogni
nostro atto devozionale e sacramentale; fino all’ultimo segno tracciato
dal sacerdote nel Sacramento degli Infermi, nella croce astile che precede
il funerale e nella croce di marmo o altro materiale, poggiata sulla
tomba.

Così presente nella nostra vita e pur tante volte ignorata e guardata
senza che ci dica niente, con occhio distratto e abituato; eppure la Croce
è il supremo simbolo della sofferenza e della morte di Gesù, vero Dio e
vero uomo, che con il Suo sacrificio ci ha riscattato dalla morte del
peccato, indicandoci la vera Vita che passa attraverso la sofferenza.
Gesù stesso con le Sue parabole insegnò che il seme va sotterrato,
marcisce e muore, per dare nuova vita alla pianta che da lui nascerà.
In tutta la vicenda umana e storica di Gesù, la “Passione” culminata
nel Venerdì Santo, designa da sempre l’insieme degli avvenimenti
dolorosi che lo colpirono fino alla morte in croce. E questo insieme di
atti progressivi e dolorosi prese il nome di “Via Crucis” (pratica
extraliturgica, introdotta in Europa dal domenicano beato Alvaro,
(†1402), e dopo di lui dai Frati Minori Francescani); che la Chiesa
Cattolica, ricorda in ogni suo tempio con le 14 ‘Stazioni’; quadretti
attaccati alle pareti, oppure lungo i crinali delle colline dove sorgono
Santuari, meta di pellegrinaggi; con edicole, gruppi statuari o cappelle,
che invitano alla meditazione e penitenza; in ognuna di queste
‘Stazioni’ sono raffigurati con varie espressioni artistiche, momenti
della dolorosa “Via Crucis” e Passione di Gesù; espressione di alta
simbologia ed arte, sono ad esempio i Sacri Monti come quelli di Varallo e
di Varese, e i celebri Calvari bretoni.
La “Passione” di Gesù cominciò dopo l’Ultima Cena tenuta con gli
Apostoli, dove Egli diede all’umanità il dono più grande che si
potesse: sé stesso nel Sacramento dell’Eucaristia, inoltre
l’istituzione del Sacerdozio cristiano e la grande lezione di umiltà e
di amore verso il prossimo con la lavanda dei piedi dei Dodici Apostoli.
I Vangeli raccontano gli avvenimenti in modo abbastanza preciso e
concorde; nella primavera dell’anno 30, Gesù discese con i suoi
discepoli dalla Galilea a Gerusalemme, in occasione della Pasqua ebraica,
l’annuale “memoriale” della prodigiosa liberazione del popolo ebreo
dall’Egitto.
Qui tenne l’Ultima Cena, dove di fatto fu sostituito il vecchio
“memoriale” con il nuovo, da rinnovare nel tempo fino al suo ritorno:
“Questo è il mio corpo, che è dato per voi”; “Questo calice è la
nuova alleanza nel mio sangue che viene versato per voi”; “Fate questo
in memoria di me!”.
Nella “redenzione dal peccato” si deve ricercare in buona parte, il
senso della ‘Passione’ di Cristo e di questo trattano i racconti
evangelici, nel susseguirsi degli avvenimenti che seguirono l’Ultima
Cena; è bene ricordare che lo stesso Gesù preannunziò ciò che sarebbe
accaduto ai suoi discepoli per ben tre volte, preparandoli al suo destino
di sofferenze e di gloria; in particolare la terza volta (Luca 18, 31-33).
Ma il suo sacrificio, è presentato nei Vangeli anche come l’attuazione
della parola dei profeti, contenuta nelle Scritture e si delinea una
grande verità, consegnandosi mite e benevole nelle mani di uomini che
faranno di lui quello che vorranno, l’”Agnello di Dio” ha preso su
di sé e ha ‘tolto’ il peccato del mondo (Giovanni 1,29).
Per questo si nota che nel racconto evangelico della Passione, ogni atto
è presentato come malvagio, ingiusto e crudele; anche tutti coloro che
intervengono nei confronti di Gesù sono cattivi o meglio peccatori, come
una sequenza impressionante dei peccati degli uomini contro di Lui.
È necessario che il male ed il peccato si scateni contro Gesù,
portandolo fino alla morte e dando la sensazione di aver vinto il Bene;
finché con la Sua Resurrezione alla fine si vedrà che la vittoria finale
sul male, è la sua.
La ‘Passione’ si svolge con una sequenza di immagini drammatiche,
prima di tutto il tradimento di Giuda, che lo vende e lo denuncia con un
bacio nel giardino posto al di là del torrente Cedron, dove si era
ritirato a pregare con i suoi discepoli, e dove Gesù, aveva avuto la
visione angosciante della prossima fine, sudando sangue e al punto di
chiedere al Padre di far passare, se era possibile, questo calice amaro di
sofferenza, ma nel contempo accettò di fare la Sua volontà.
Segue l’arresto notturno da parte dei soldati e delle guardie fornite
dai sommi sacerdoti e dai farisei; Gesù subisce l’interrogatorio di
Anna, ex sommo sacerdote molto potente e suocero del sommo sacerdote in
carica Caifa; poi il giudizio del Sinedrio giudaico capeggiato da Caifa,
che formula ad ogni costo un’accusa che consenta la sua condanna a
morte, che però per la legge vigente a Gerusalemme, non poteva essere
attuata dalle autorità ebraiche.
Nel contempo si concreta il triplice rinnegamento del suo primo discepolo
Pietro; poi Gesù viene condotto dal governatore romano Ponzio Pilato,
accusato di essersi proclamato re dei Giudei, commettendo quindi un
delitto di lesa maestà verso l’imperatore romano.
Nel confronto con Pilato, Gesù afferma la sua Regalità; nonostante che
non si ravvisa in lui colpa alcuna, l’attaccamento al potere, la
colpevole viltà del governatore, non fanno prendere una decisione a
Pilato, che secondo il Vangelo di Luca (23,6) non volendo pronunciarsi, lo
manda da re Erode, presente in quei giorni a Gerusalemme; il quale dopo
un’inutile interrogatorio e istigato dai sommi sacerdoti e scribi, lo
schernisce insultandolo, poi rivestito di una splendida veste lo rimanda
da Pilato.
Ancora una volta Pilato titubante chiede al popolo che colpa ha
quest’uomo, perché lui non ne trova; alle grida di condanna lo fa
flagellare, pensando che così si calmassero, ma questi gridarono sempre
più forte di crocifiggerlo; allora Pilato secondo le consuetudini locali,
potendo liberare un prigioniero in occasione della Pasqua, chiese al
popolo se intendevano scegliere fra Gesù e un ribelle prigioniero di nome
Barabba, che aveva molti morti sulla coscienza, ma anche in questa scelta
il popolo si espresse gridando a favore di Barabba.
Non potendo fare altro, il governatore simbolicamente si lavò le mani e
condannò a morte Gesù, tramite la crocifissione, pena capitale praticata
in quell’epoca e lo consegnò ai soldati.
I soldati con feroce astuzia, posero sul capo di Gesù, schernendolo, una
corona di spine pungenti e caricarono sulle sue spalle, già straziate da
una lacerante flagellazione, il “patibulum”, avviandosi verso la
collina del Golgota o Calvario, luogo dell’esecuzione.
La “Via Crucis” di Gesù presenta alcuni incontri non tutti riportati
concordemente dai quattro evangelisti, come l’incontro con Simone di
Cirene, obbligato dai soldati a portare la croce di Gesù o a condividerne
il peso; l’incontro con le donne di Gerusalemme alle quali dice con toni
apocalittici di piangere su loro stesse; l’incontro con la Veronica, le
cadute sull’erta salita.
Arrivati sulla cima del calvario, viene dai soldati spogliato delle sue
vesti, che vennero tirate a sorte fra gli stessi soldati, poi crocifisso
con chiodi alla croce, tortura orribile e atroce, che conduce Gesù alla
morte dopo qualche ora, sempre fra insulti e offese, alla fine invece di
spezzargli le gambe per accelerarne la morte per soffocamento, essendo già
morto, la lancia di un centurione gli perforerà il costato per
accertarsene.
C’è ancora tutta una serie di episodi che si verificano prima e dopo la
sua morte, come il suicidio di Giuda, lo scambio di parole con i due
ladroni, crocifissi anche loro in quell’occasione, lo squarcio del Velo
del Tempio di Gerusalemme, il terremoto, lo sconvolgimento degli elementi
atmosferici, la presenza ai piedi della Croce di Maria sua madre, di Maria
di Magdala (Maddalena), di Maria di Cleofa, madre di Giacomo il Minore e
Giuseppe, di Salome madre dei figli di Zebedeo e da Giovanni il più
giovane degli apostoli; l’affidamento reciproco fra Maria e Giovanni; le
sue ultime parole prima di morire.
La ‘Passione’ si conclude, dopo la deposizione affrettata per
l’approssimarsi della festività del sabato, con la sepoltura del suo
corpo mortale in una tomba data da Giuseppe d’Arimatea, anche lui
diventato suo discepolo, avvolto in un candido lenzuolo e cosparso degli
oli e aromi usuali, poi la tomba scavata nella roccia, venne chiusa da una
grossa pietra.
In questo contesto finale s’inserisce l’esistenza e la venerazione per
la Sacra Sindone, conservata nel Duomo di Torino, prova tangibile dei
patimenti e del metodo crudele subito da Gesù per la crocifissione.
Dato il poco spazio disponibile, si è dovuto necessariamente essere
veloci nel descrivere praticamente la ‘Passione di Nostro Signore’, ma
questo storico evento lo si può meditare ampliamente, partecipando ai
riti della Settimana Santa, che da millenni la Chiesa cattolica e le altre
Chiese Cristiane celebrano.
Aggiungiamo solo che Gesù ha voluto con la sofferenza e la sua morte,
prendere su di sé le sofferenze e i dolori di ogni genere dell’umanità,
quasi un “chiodo scaccia chiodo”; indicando nel contempo che la
sofferenza è un male necessario, perché iscritto nella storia di ogni
singolo uomo, come lo è la morte del corpo, come conseguenza del peccato,
ma essa può essere trasformata in una luce di speranza, di
compartecipazione con le sofferenze degli altri nostri fratelli, che
condividono con noi, ognuno nella sua breve o lunga vita terrena, il
cammino verso la patria celeste.
Questo concetto e valorizzazione del dolore fu nei millenni cristiani, ben
compreso ed assimilato da tante anime mistiche, al punto di non desiderare
altro che condividere i dolori della ‘Passione’; ottenendo da Cristo
di portare nel loro corpo i segni visibili e tormentati di tanto dolore;
come pure per tanti ci fu il sacrificio della loro vita, seguendo
l’esempio del Redentore, per l’affermazione della loro fede in Lui e
nei suoi insegnamenti.
Ecco allora la schiera immensa dei martiri che a partire sin dai primi
giorni dopo la morte di Gesù e fino ai nostri giorni, patirono e morirono
violentemente, con metodi anche forse più strazianti della crocifissione,
come quello di essere dilaniati vivi dalle belve feroci; bruciati vivi sui
roghi; fatti a pezzi dai selvaggi nelle Missioni; scorticati vivi, ecc.
Poi riferendoci a quando prima accennato ai segni della ‘Passione’ sul
proprio corpo, solo per citarne qualcuno: Le Stimmate di s. Francesco di
Assisi, di s. Pio da Pietrelcina, la spina in fronte di s. Rita da Cascia,
ecc.
La triste e dolorosa vicenda della ‘Passione’, ha ispirato da sempre
la pietà popolare a partecipare ai riti del Venerdì Santo, con
manifestazioni di grande suggestione e penitenza, con le processioni dei
‘Misteri’, grandi e piccole raffigurazioni, con statue per lo più di
cartapesta, dei vari episodi della ‘Via Crucis’, in particolare
l’incontro di Gesù che trasporta la croce con sua madre e le pie donne;
oppure con Gesù morto, condotto al sepolcro, seguito dall’effige della
Vergine Addolorata.
In tutte le chiese, a partire dal Colosseo con il papa, si svolgono le
‘Vie Crucis’, anche per le strade dei Paesi e nei rioni delle città;
in alcuni casi per secolare tradizione esse sono svolte da fedeli con i
costumi dell’epoca e giungono fino ad una finta crocifissione; in altri
casi da secoli si svolgono cortei penitenziali di Confraternite con
persone incappucciate o no, che si flagellano o si pungono con oggetti
acuminati e così insanguinati proseguono nella processione penitenziale,
come nella celebre penitenza di Guardia Sanframondi.
Ci vorrebbe un libro per descriverle tutte, ma non si può dimenticare di
citare i riti barocchi del Venerdì Santo di Siviglia.
Alla ‘Passione’ di Gesù è associata l’immagine della Vergine
Addolorata, che i più grandi artisti hanno rappresentato insieme alla
Crocifissione, ai piedi della Croce, o con Cristo adagiato fra le sue
braccia dopo la deposizione, come la celebre ‘Pietà’ di Michelangelo,
il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto, la ‘Crocifissione’ di
Masaccio, per citarne alcuni.
Il soggetto della ‘Passione’, ha continuato ad essere rappresentato
anche con le moderne tecnologie, le quali utilizzando attori capaci,
scenografie naturali e drammaticità delle espressioni dolorose; ha
portato ad un più vasto pubblico nazionale ed internazionale l’intera
vicenda terrena di Gesù.
È il caso soprattutto del cinema, con tanti filmati di indubbio valore
emotivo, come “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini; il
“Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, la serie di quelli storici e
colossali, come “Il Re dei re”, “La tunica”, ecc. fino
all’ultimo grandioso per la sua drammaticità “La Passione di
Cristo” di Mel Gibson.
Inoltre la televisione presente ormai in ogni casa, ha riproposto ad un
pubblico ancor più vasto le produzioni televisive ed i tanti films con
questo soggetto, che per questioni economiche e per la crisi delle sale
cinematografiche, non sarebbero stati più visti.
Il Venerdì Santo è il giorno della Croce, di questo simbolo che è di
guida ai cristiani e nel contempo tiene lontani altri da questa religione,
che per tanti versi ha al suo centro il dolore e la sofferenza, seppure
accettata e trasfigurata; e si sa che a nessuno piace soffrire e tutti
vorrebbero tendere alla felicità senza prima soffrire.

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